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È passata quasi una settimana dal decreto cessioni del 16 febbraio, con il quale il governo ha bloccato la cessione del credito e lo sconto in fattura. Una decisione che ha avuto l’effetto di un secchio d’acqua gelata, causando una forte reazione ed innescando una lunga serie di proteste. Tutto questo dopo l’aggiornamento del manuale Eurostat, pubblicato l’1 febbraio, che ha introdotto una nuova classificazione dei crediti fiscali.
L’impatto dei crediti fiscali sui conti pubblici
Si è detto che l’emissione di 110 miliardi di euro di crediti fiscali ha avuto un impatto negativo sui conti pubblici. Tuttavia questo non riflette completamente la situazione. In primo luogo, i crediti fiscali possono essere utilizzati per ridurre le tasse in più anni. Questo significa che l’impatto sul bilancio pubblico sarà posticipato e diluito nel tempo. Inoltre, i crediti fiscali possono influire sulla crescita economica, generando un maggiore gettito fiscale che compensa le entrate fiscali future.
Per valutare completamente la situazione, è necessario considerare non solo i 110 miliardi di euro di crediti fiscali, ma anche la crescita del Pil e il gettito fiscale aggiuntivo. L’indicatore più appropriato per valutare questi tre fattori è il rapporto debito Pil, poiché contiene tutte le informazioni necessarie.
Analizzando quanto avvenuto fino ad oggi, è evidente che il rapporto debito Pil è sempre diminuito:
- 2020 = 155%
- 2021 = 151%
- 2022 = 147%
Tuttavia ci sono alcune precisazioni da fare sulla questione dei crediti fiscali. In primo luogo, l’esplosione dei crediti fiscali è avvenuta durante il governo Draghi nel 2021/22. Non quindi durante il governo Conte che aveva introdotto la cessione dei crediti sei mesi prima della sua caduta. Il governo Draghi avrebbe potuto intervenire tempestivamente per limitare l’emissione dei crediti e porre maggiori controlli sulle assegnazioni, prevenendo le frodi.
Ciò che ha fatto è stato invece cercare di bloccare l’acquisto di crediti fiscali, causando un enorme danno alle imprese che avevano ottenuto i crediti ma non potevano più monetizzarli. I 5 Stelle, dal canto loro, sembra non abbiano fatto nulla per contrastare il blocco delle cessioni. Questo perché erano più interessati a difendere l’incentivo del 110% senza comprendere appieno la sua potenza nel permettere la cessione dei crediti fiscali.
Anche il Superbonus 110% avrebbe dovuto essere ridotto al di sotto del 100% per incentivare i committenti a negoziare sui preventivi e ridurre i costi. Cosa che, come ben sappiamo, non è successa.
Ad oggi, dopo che i crediti fiscali sono stati emessi, andrebbero fatti circolare il più possibile per massimizzarne l’impatto sull’economia e ottenere il massimo beneficio per le finanze pubbliche. Non farlo significherebbe andare contro gli interessi del Paese ed innestare un effetto domino. Le conseguenze sarebbero il fallimento delle imprese, l’aumento della disoccupazione e il crollo delle entrate fiscali. Questo scenario potrebbe inoltre portare a un aumento preoccupante del rapporto debito Pil.
La nuova classificazione Eurostat sui crediti fiscali
Nella nuova versione del manuale Eurostat, è stata introdotta una nuova categoria di crediti fiscali chiamata “crediti fiscali borderline”. Questi comprendono i crediti trasferibili a terzi, utilizzabili senza limiti temporali e che consentono di compensare un debito fiscale totale invece di una singola tassa. Secondo Eurostat, questi crediti vengono considerati pagabili. Il motivo? Se un credito non pagabile può circolare ed essere utilizzato per compensare qualsiasi debito fiscale, diventa un credito pagabile. La circolazione aumenta infatti la probabilità che il credito fiscale non venga perso e che possa quindi essere utilizzato integralmente da più soggetti in un intervallo di tempo più lungo o illimitato.
Certo si tratta di argomentazioni fragili, basate su un’interpretazione arbitraria dei fatti e si potrebbe tranquillamente sostenere il contrario. Un credito che non può circolare sarà infatti richiesto solo da soggetti ad elevata capacità fiscale e quindi con maggiori probabilità di sfruttarlo.
La verità è che la nuova classificazione di Eurostat, adottata senza esitazione da Istat, è problematica. Uno sconto fiscale emesso dallo Stato che non è rimborsabile in euro alla scadenza, è considerato non pagabile sia che circoli o meno. Questi perché lo Stato non si assume alcun obbligo di pagamento. Tuttavia, Eurostat e quindi Istat lo considereranno pagabile semplicemente perché può circolare, nonostante lo Stato non abbia alcun tipo di obbligo.
La presenza dei crediti fiscali pagabili comporta un aumento del deficit al momento dell’emissione. Tuttavia, dal punto di vista finanziario non c’è differenza poiché non incide sul debito pubblico di Maastricht. Infatti, la crescita del deficit è una questione contabile e non ha implicazioni finanziarie. Questo perché lo Stato non chiede denaro in prestito quando emette gli sconti fiscali e non contrae alcun tipo di debito finanziario. Pertanto, la nuova classificazione di Eurostat non compromette la possibilità di far circolare i crediti fiscali.
Truffe e responsabilità
È stato stabilito che la responsabilità debba essere attribuita al committente, all’impresa che ha svolto i lavori e al tecnico che li ha approvati. Gli acquirenti successivi dei crediti non hanno alcuna responsabilità per eventuali frodi. In questo modo le banche e gli altri acquirenti potranno beneficiare dello scudo penale per evitare sequestri dei crediti fiscali da parte della magistratura. In precedenza, la responsabilità degli acquirenti, insieme ai limiti delle cessioni – ora aumentati a cinque – avevano paralizzato il mercato.
Conclusioni
La Moneta Fiscale, grazie alla possibilità di trasferire i crediti fiscali a terzi, ha dimostrato di essere uno strumento molto efficace per rilanciare l’economia italiana. L’uso degli sconti in fattura ha stimolato la domanda di ristrutturazioni e la cessione dei crediti fiscali alle banche e agli intermediari finanziari ha dato alle imprese la liquidità necessaria per concedere sconti in fattura.
Tuttavia, per evitare eccessive emissioni di crediti fiscali, è necessario fissare un limite massimo ogni anno. L’eliminazione di questo meccanismo è incomprensibile e non va nella direzione delle intenzioni dell’Europa, che vuole puntare sull’efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Il Parlamento europeo ha dato il via libera alle “case green”, che prevedono che gli edifici raggiungano una classe energetica minima entro il 2030. Tuttavia, senza un sostegno adeguato dello Stato, l’effetto potrebbe essere quello di impoverire una larga parte della popolazione, con un rischio di deprezzamento degli immobili.
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