Dopo gli avvocati, anche gli ufficiali giudiziari delle sedi italiane hanno organizzato un presidio davanti al Ministero della Giustizia contro il ritardo nell’informatizzazione dei pignoramenti. La protesta, prevista per oggi, è motivata dai ritardi nell’applicazione della riforma dell’articolo 492 bis, varata nel 2014 e rinnovata con la legge Cartabia.
La riforma – che prende il nome dell’ex ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia – riguarda in particolar modo lo snellimento del procedimento penale. Tuttavia sono presenti aspetti che, siccome riguardano la giustizia civile e il diritto di famiglia, finiscono per avere un impatto sul mercato immobiliare.
Prima della riforma, il creditore doveva richiedere l’autorizzazione al presidente del Tribunale per effettuare la ricerca dei beni del debitore presso le banche dati delle Pubbliche Amministrazioni e dell’Anagrafe tributaria. La riforma (o legge) Cartabia del processo civile ha modificato l’articolo 492 bis del codice di procedura civile, consentendo all’ufficiale giudiziario di accedere direttamente ai dati contenuti nelle banche dati delle Pubbliche Amministrazioni, inclusi l’archivio dei rapporti finanziari e quelli degli enti previdenziali, su richiesta del creditore procedente. Questa modifica è entrata in vigore anticipatamente a fine febbraio 2023.
Quando alla teoria, quindi, la ricerca dei beni dovrebbe essere eseguita solo dall’ufficiale giudiziario. Tuttavia, il Ministero non ha ancora fornito i collegamenti necessari per consentire l’accesso da parte degli ufficiali giudiziari alle banche dati fiscali e previdenziali. Procedura che permetterebbe di individuare beni e crediti da sottoporre ad esecuzione, inclusi i rapporti del debitore con istituzioni finanziarie e datori di lavoro/committenti. Questa mancanza di accesso tecnologico ha portato all’avvitarsi del sistema in modo comico. Infatti, secondo l’articolo 155 quinquies, quando le strutture tecnologiche sono fuori uso, l’ufficiale giudiziario attesterà al creditore che l’accesso alle banche dati non è possibile.
Gli avvocati, come indicato in una delibera dell’Organismo congressuale forense, lamentano una mancanza di coerenza tra gli uffici Esecuzione delle Corti d’Appello italiane. Spesso, infatti, si rende necessario il pagamento dei diritti di cancelleria solo per attestare la mancanza di servizio e di applicazione dell’articolo 492. Quindi, a causa della mancata attivazione delle strutture tecnologiche necessarie da parte del Ministero, non è possibile effettuare la ricerca telematica.
Una situazione che, secondo gli ufficiali giudiziari, potrebbe prendere un ulteriore risvolto. Il rischio è infatti quello che le agenzie private svolgano l’attività in modo poco trasparente, causando costi significativi per il creditore e mettendo il debitore a rischio di accesso non autorizzato a dati personali sensibili. Loro, al contrario, se disponessero del collegamento, potrebbero svolgere il servizio gratuitamente e con la garanzia di riservatezza dovuta al loro ruolo di pubblici ufficiali.