Indice
- 1 Il passato sismico italiano
- 2 Cos’è il rischio sismico e qual è la situazione in Italia
- 3 Il rischio sismico in Italia
- 4 Terremoto Turchia: il Patrimonio Immobiliare Italiano Resisterebbe Grazie al Sistema Anti-sisma?
- 5 Terremoto Turchia: l’impatto economico di un terremoto
- 6 In Italia manca la cultura della prevenzione
- 7 Sismabonus 2023
Sono passati tre mesi dal gravissimo terremoto in Turchia e Siria, uno dei più forti al mondo, che ha provocato la morte di quasi 60mila persone. Il peggior disastro naturale dell’ultimo secolo in tutta l’area europea, è la definizione che ne ha dato l’Organizzazione mondiale della sanità.
Il terremoto in Turchia dello scorso febbraio ha fatto collassare al suolo interi quartieri e causato il crollo di moltissimi edifici. Quelli che non sono crollati, e sono a migliaia, sono talmente danneggiati da essere oggi in fase di demolizione. Un evento, quello del terremoto, in grado di mettere in ginocchio intere nazioni e causare postumi e problematiche che avranno conseguenze per lunghissimo tempo. Come ad esempio quello delle macerie che, secondo stime fatte dalle Nazioni Unite, in Turchia e Siria arrivano a 210 milioni di tonnellate.
Anche per chi, come noi, non ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze del terremoto in Turchia, non è facile metabolizzare quanto è successo. Non solo ci si sente impotenti di fronte a ciò che può fare la natura ma si finisce per dare il via a tutta una serie di pensieri ed interrogativi che, a loro volta, ne generano altri.
Specie perché, anche nella storia del nostro Paese, i terremoti ne hanno scritto svariati dolorosi capitoli.
Il passato sismico italiano
L’Italia presenta infatti un alto rischio sismico. A causa della sua posizione lungo il margine fra due placche tettoniche che collidono, quella Eurasiatica e quella Africana, ogni pochi anni si verifica sul territorio italiano un sisma capace di creare danni.
Prendiamo ad esempio gli ultimi 50 anni:
- 1968: forti terremoti (magnitudo 6.1) hanno causato gravi danni nella zona della Sicilia occidentale conosciuta come Belice, fra Trapani e Palermo;
- 1976: una serie di forti terremoti sconvolse il Friuli, raggiungendo magnitudo 6.5. Il bilancio fu molto pesante, con 990 vittime e migliaia di sfollati;
- 1980: terremoto in Irpinia con magnitudo momento di 6.9. I danni furono enormi, con un bilancio di 2.914 morti. Il ritardo nei soccorsi, l’indignazione del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, portarono alla nascita del moderno sistema di Protezione Civile di cui è dotata oggi l’Italia;
- 1984: un terremoto di magnitudo momento 5.9 colpisce l’Appennino centrale, in particolare la Marsica.
- 1990: un terremoto di magnitudo momento 5.7 con epicentro in provincia di Siracusa.
- 1997-1998: una serie di forti terremoti colpì l’Appennino centrale, con magnitudo momento 6.0. Il bilancio fu di 11 morti, centinaia di feriti ed almeno 80.000 case danneggiate.
- 2002: il Molise viene colpito da un terremoto di magnitudo momento 5.7. Le scosse causarono il crollo di una scuola in provincia di Campobasso durante le lezioni in cui perdono la vita 27 bambini ed una maestra. Il bilancio generale del sisma è di 30 morti.
- 2009: L’Aquila e decine di Comuni limitrofi sono colti dal terremoto (magnitudo momento 6.3) in piena notte. Il bilancio è di 309 vittime e almeno 80.000 sfollati.
- Numerose strutture pubbliche, come la Casa dello Studente, l’Università e l’Ospedale, sono crollate a causa del sisma. L’evento sismico è stato percepito in modo significativo in tutta l’Italia centrale, causando danni anche a Roma, dove sono state lesionate alcune strutture archeologiche. Questo evento evidenzia l’incapacità dell’Italia di prepararsi adeguatamente ai terremoti, nonostante le zone a maggior rischio siano state identificate da tempo;
- 2012: ad essere colpita dal terremoto (magnitudo 6.1) è questa volta la pianura padana emiliana, fra le province di Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Bologna e Rovigo. Le vittime dei crolli sono 27.
- 2016-2017: forti terremoti sull’Appennino centrale, fra Lazio, Umbria e Marche. Si tratta del terremoto più forte in Italia da quello dell’Irpinia del 1980 ed ha causato 299 morti.
Numerosi eventi sismici di diversa portata, che hanno lasciato profonde ferite. Nonostante questo, nessuno di quelli accaduti in questo lasso di tempo ha avuto la stessa forza del terremoto in Turchia e Siria che, ricordiamo, con magnitudo momento di 7.9 ha causato 57.700 vittime accertate, un elevato numero di dispersi e oltre 121.000 feriti.
Cosa accadrebbe quindi se l’Italia si trovasse ad affrontare un evento catastrofico di tale portata?
Cos’è il rischio sismico e qual è la situazione in Italia
Come prima cosa, che cos’è esattamente il rischio sismico di un Paese? Possiamo riassumere il concetto come la previsione dei danni che possono essere causati da un terremoto in un determinato periodo di tempo. Questa misura è influenzata dalla combinazione di fattori come la pericolosità sismica, la vulnerabilità e l’esposizione del territorio, che dipendono dal tipo di sismicità, dalla resistenza delle costruzioni e dalla presenza di infrastrutture e attività umane. La pericolosità sismica indica la frequenza e la forza degli eventi sismici che si verificano in una determinata area nel corso del tempo. Questo è un aspetto fisico del territorio che non può essere modificato dall’uomo, come la sua topografia o la presenza di corsi d’acqua.
Nel 2004, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) ha pubblicato una mappa interattiva della pericolosità sismica in Italia. La mappa indica le aree più pericolose dal punto di vista sismico e si basa sui valori di accelerazione del terreno attesi nei prossimi 50 anni. Le zone con colori più chiari (azzurro, verde e giallo) indicano una minore frequenza di terremoti forti, mentre le zone con colori più scuri (arancione, rosso e viola) indicano una maggiore pericolosità sismica. Queste ultime seguono la catena montuosa degli Appennini, che comprende anche le zone colpite da eventi sismici di forte intensità negli ultimi anni, come quelli dell’Italia centrale nel 2016 e nel 2017.
Sebbene la pericolosità sismica sia un fattore cruciale da considerare quando si parla di rischio sismico, non è l’unico. Altri fattori che contribuiscono al rischio sismico sono infatti la vulnerabilità e l’esposizione. La vulnerabilità si riferisce alla predisposizione di un edificio o di una costruzione a essere danneggiata durante un terremoto. In generale, le conseguenze di una scossa dipendono principalmente dalla vulnerabilità dell’edificio. L’edificio può essere vulnerabile per vari motivi, come il tipo di costruzione, la progettazione inadeguata, l’utilizzo di materiali di bassa qualità o una scarsa manutenzione. L’esposizione, d’altra parte, si riferisce alla presenza di beni o persone che possono essere danneggiati da un terremoto. Ad esempio, una città densamente popolata e ricca di edifici storici è più esposta rispetto a un paese con pochi abitanti e case relativamente nuove.
Secondo la Protezione Civile, l’Italia presenta un rischio sismico elevato a causa della sua pericolosità sismica medio-alta, vulnerabilità molto elevata ed esposizione altissima, dovuta alla densità abitativa e al patrimonio storico e artistico presente sul territorio. Tuttavia, è possibile effettuare misure preventive per ridurre la vulnerabilità degli edifici nelle zone ad alto rischio sismico. Nel 2018, le Norme Tecniche per le Costruzioni sono state aggiornate per includere la stima della pericolosità sismica e le caratteristiche del territorio a livello locale nella progettazione di nuovi edifici.
Il rischio sismico in Italia
L’Italia è quindi un territorio piuttosto fragile, e non è un caso che anche terremoti di bassa intensità (inferiori a 4 gradi di magnitudo) suscitino allarme e attenzione mediatica.
Tuttavia, è importante ricordare che i terremoti di media/alta intensità (superiori quindi ai 4 gradi di magnitudo) hanno un impatto significativo sia dal punto di vista umano che economico. Come dimostrano, infatti, gli eventi del 2009 in Abruzzo e del 2016 nel Centro Italia, il nostro patrimonio di edilizia pubblica e privata è datato e comprende edifici storici particolarmente vulnerabili, il che può aggravare le conseguenze di un sisma di tale entità.
Come sottolinea l’ISI (Ingegneria Sismica Italiana) il patrimonio edilizio in Italia è stato realizzato, per il 70-75% in assenza di criteri antisismici. Un fattore preoccupante, al quale si va ad aggiungere la mancanza di una consapevolezza nell’affrontare il rischio da parte dei cittadini.
Si dice che ogni terremoto rimanga impresso in maniera indelebile nella mente di chi lo ha subito e, quanto avvenuto negli anni nel nostro Paese, dovrebbe indurre le persone ad agire in tutt’altra direzione.
Terremoto Turchia: il Patrimonio Immobiliare Italiano Resisterebbe Grazie al Sistema Anti-sisma?
E se un terremoto, come quello in Turchia, colpisse l’Italia, potrebbe il patrimonio immobiliare reggere?
Il 44% della superficie nazionale italiana, pari a 131mila kmq, è classificata come ad alto rischio sismico, coinvolgendo il 36% dei comuni del paese. Queste zone ospitano una popolazione di 21,8 milioni di individui, distribuiti in circa 5,5 milioni di edifici, tra cui residenze e strutture non residenziali, che appartengono a 8,6 milioni di famiglie.
La vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano, costruito per il 60% prima del 1974, ha aumentato il rischio sismico. Nel 2011, il numero di capannoni a uso produttivo su tutto il territorio nazionale era di 325.427. Solo il 7% degli edifici produttivi risale a prima del 1950, mentre oltre il 70% è stato costruito negli ultimi 40 anni. Il CNAPPC ha proposto di autorizzare interventi immediati nelle zone a maggior rischio sismico, ristrutturare gli edifici vulnerabili e risolvere il problema del dissesto idrogeologico.
Le zone italiane che hanno subito maggiormente gli effetti della vulnerabilità delle costruzioni al rischio sismico sono la Sicilia e la Campania. La regione campana è la più colpita, con 5,3 milioni di persone che vivono in 489 comuni ad alto rischio sismico. In seconda posizione si trova la Sicilia, con 4,7 milioni di persone distribuite in 356 comuni a rischio. Tutti i comuni della Calabria, con una popolazione di 2 milioni di persone, sono coinvolti. Inoltre, il Lazio presenta un rischio sismico per 1,9 milioni di persone, seguito dalle Marche con quasi 1,5 milioni e dall’Emilia Romagna con quasi 1,4 milioni di persone a rischio. È evidente che il rischio sismico è molto elevato anche in queste regioni.
Per quanto riguarda invece gli edifici, ci sono circa 10,7 milioni di case e 5,4 milioni di edifici situati nelle regioni più vulnerabili (Sicilia e Campania) all’alto rischio sismico. L’86% degli edifici sono residenziali, mentre il restante 14% sono edifici non residenziali, come scuole, ospedali, alberghi, chiese e centri commerciali, inclusi quelli non utilizzati. In Emilia Romagna, ci sono 12.302 edifici ad uso produttivo ad alto rischio sismico, mentre nelle Marche ce ne sono 10.519. Inoltre, ci sono più di 2,5 milioni di edifici a uso residenziale che si trovano in uno stato di conservazione pessimo o mediocre, di cui oltre 2,1 milioni sono stati costruiti prima del 1974.
È importante inoltre prendere in considerazione sono le peculiarità del patrimonio edilizio italiano, che è differente da quello della maggior parte degli altri paesi. Infatti, quando l’America era ancora un territorio incontaminato nel 1492, da noi già esistevano la maggior parte dei nostri 22 mila borghi storici, che al giorno d’oggi sono abitati da circa 1 milione e mezzo di cittadini e ospitano circa 2.1 milioni di posti di lavoro, considerando una popolazione di poco più di 3 milioni di abitanti. Questo è il primo punto da considerare. Tuttavia, molte volte risulta difficilissimo intervenire su questi borghi, a causa di vincoli spesso presenti, della complessità del tessuto architettonico e strutturale e della promiscuità di proprietà.
Quindi, come possiamo affrontare questa situazione unica che rappresenta una sfida? Secondo l’Ing. Barocci, Presidente dell’Associazione Ingegneria Sismica Italiana, è importante essere consapevoli del fatto che, se un terremoto dovesse colpire Firenze, la Cupola del Brunelleschi potrebbe essere danneggiata, ma allo stesso tempo, non è possibile metterla a rischio facendo interventi strutturali invasivi. Tuttavia, ci sono molti edifici nei nostri centri storici che svolgono funzioni importanti o strategiche, come scuole, caserme e prefetture, che sono altrettanto esposti a rischi elevati a causa del contesto circostante. Questi edifici rappresentano un esempio di mancanza di convergenza normativa, dove diversi livelli normativi non sono allineati sull’obiettivo comune della sicurezza.
Gli interventi per la sicurezza richiedono interventi di lunga durata che possono causare disagi e malumori. Pensiamo ad esempio al caso delle scuole, dove il personale e gli studenti possono essere costretti a cambiare struttura per anni. Tuttavia, questi interventi hanno un valore sociale ed economico importante, anche se possono causare problemi nel breve termine. È essenziale che i cittadini siano consapevoli che questi interventi sono necessari per garantire la sicurezza futura.
Inoltre, il 70/75% del patrimonio italiano, sia pubblico che privato, è stato costruito senza criteri antisismici, e i condomini, in particolare, richiedono interventi di manutenzione e messa in sicurezza.
Terremoto Turchia: l’impatto economico di un terremoto
Come in tutte le cose, è infatti il fattore economico a far pendere la bilancia da un lato piuttosto che dall’altro. Infatti, come sottolinea ISI, in caso di terrmoto, è Lo Stato a dovere intervenire: “Un evento sismico è un affare di Stato e di conseguenza un affare di tutti noi. Al netto di una scelta individuale di ogni singolo cittadino, lo Stato subentra per ripristinare la condizione abitativa precedente, ancorché non adeguata”.
Di conseguenza, è un onere che pesa sulle spalle di tutti. “Sappiamo esattamente quanto lo Stato ha speso e lo sappiamo perché quando lo Stato è intervenuto per far fronte ai terremoti, ha dovuto inserire delle accise sui carburanti esattamente nella quantità di 12 centesimi per litro, a partire dal ’68. Anche questa è una tassa, una tassa che tutti paghiamo”.
Ed è davvero un bagaglio importante da portarsi dietro.
Infatti, l’ammontare dei costi dei terremoti in Italia è sorprendente. Come riportato in un rapporto della Camera, si parla di una spesa totale di circa 121 miliardi di euro dal 1968 al 2015. A questo si aggiungono ulteriori 50 miliardi di euro causati dagli ultimi eventi sismici, che hanno portato a una raccolta di entrate fiscali di circa 261 miliardi di euro grazie all’aumento delle accise. Si tratta di cifre che gravano su tutti i cittadini. Molti ignorano, ad esempio, che dal ’68 stiamo pagando 12 centesimi di accise per ogni litro di carburante. I governi hanno avuto dalle accise un gettito di circa 230 miliardi di euro, ben più di quanto abbiano dichiarato di aver speso per i terremoti.
In Italia manca la cultura della prevenzione
Nonostante si tratti di un tema sentito e che il terremoto in Turchia ha portato molti di noi a riflettere sull’effettivo rischio a cui sono sottoposte le nostre case, gli interventi effettuati sono sempre esigui.
Occorre prevenzione, ma si tratta di uno dei temi più critici. In Italia, infatti, mancano sia azioni forti da parte dello Stato, sia la richiesta da parte dei cittadini. Dovrebbero infatti essere proprio questi ultimi ad avere maggiore consapevolezza, come per le prestazioni energetiche. Se in una compravendita immobiliare viene messo in luce il livello di prestazione energetica di un edificio, perché non si pone la stessa attenzione sul rischio sismico?
Come ha spiegato l’Ing. Andrea Barocci, nonostante l’elevato rischio sismico, in Italia manca una cultura della prevenzione. “Se il cittadino non è consapevole del proprio rischio non potrà mai agire per la messa in sicurezza dell’abitazione”.
Conoscere il rischio sismico può portare alla realizzazione di interventi efficaci e consapevoli. Secondo Barocci, ad esempio, anche il catastrofico terremoto in Turchia e Siria era prevedibile. Si è verificato all’incrocio di tre faglie che sono state notevolmente colpite da eventi sismici e che hanno ancora una memoria fresca di tali eventi. Nel 1999, infatti, un terremoto con un’intensità simile (7.5) ha causato la morte di 17.000 persone.
Un evento drammatico, quello del terremoto in Turchia, che si è verificato nonostante l’elevata consapevolezza del rischio sismico. La normativa antisismica turca risale infatti al 1998 ed è più recente rispetto a quella italiana. Dal 2012, inoltre, il governo turco ha avviato un piano che interessa la maggior parte del paese, dove il 70% delle zone è a elevato rischio sismico. Sono stati stanziati oltre 400 miliardi di euro per demolire e ricostruire edifici non idonei, che ammontano a circa 6,5 milioni. Questo è il più grande piano urbanistico mondiale.
Ciononostante, questo non è bastato.
Senza consapevolezza, i cittadini non saranno in grado di adottare le misure necessarie per garantire la sicurezza delle loro abitazioni. Inoltre, senza una comprensione adeguata dei rischi sismici, potrebbero non considerare interventi strutturali come misura preventiva. Ciò può portare a decisioni rischiose e aumentare la probabilità di danni in caso di terremoto.
Perché in Italia manca la cultura della prevenzione? Secondo l’Ing. Barocci: “Paradossalmente il nostro problema è che i terremoti sono considerati un problema di pochi, avvengono relativamente di rado e manca la consapevolezza che sia una questione statale ed economica, che riguarda tutti i cittadini. Basti pensare ai terremoti avvenuti dal ‘68 ad oggi, Belice, Friuli, Irpinia, Umbria e Marche, L’Aquila ed Emilia: è opinione comune che lo Stato debba intervenire, meno noto è che tutti noi paghiamo”.
Sarebbe fondamentale analizzare i costi per mettere in sicurezza tutto il nostro patrimonio e quanto questi permetterebbe di risparmiare di fronte a un evento sismico. L’ex Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan durante il Summit di Rio de Janeiro del 1992 spiegò che “ogni dollaro speso in prevenzione equivale a 6 dollari da spendere se la prevenzione non è stata fatta”.
Sismabonus 2023
Come per altre agevolazioni fiscali, la Legge di Bilancio 2023 del Governo Meloni ha previsto anche per quest’anno la proroga del Sismabonus.
Il Sismabonus è una detrazione fiscale prevista per gli interventi di adeguamento antisismico realizzati negli immobili sia residenziali che produttivi, dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2024 (con proroga fino al 2025 per il SuperSismabonus).
La detrazione, variabile dal 50 al 110% a seconda dell’intervento e della tipologia di immobile, viene ripartita in 5 quote annuali uguali. La spesa massima agevolabile è di 96 mila euro.
Trattandosi di un’agevolazione fiscale, permette di ottenere una detrazione IRPEF o IRES a seconda del soggetto richiedente (sia persone fisiche che società).
La detrazione minima prevista dal Sismabonus ordinario è del 50%, ma è possibile aumentarla. Infatti, se diminuiscono le classi di rischio sismico può arrivare fino all’80% mentre se i lavori vengono effettuati in un condominio, fino all’85%.
Oltre al Bonus sismico ordinario, è previsto anche il SuperSismabonus che può arrivare fino al 110%. La scadenza è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025, ma le aliquote scenderanno progressivamente:
- 110% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023;
- 70% per le spese sostenute nel 2024;
- 65% per le spese sostenute nel 2025.
Chi può beneficiare del Sismabonus?
Al pari di altre detrazioni, i beneficiari sono:
- proprietari o nudi proprietari delle unità immobiliari;
- titolari di un diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione o superficie);
- inquilini o comodatari;
- soci di cooperative;
- imprenditori individuali per gli immobili adibiti ad attività produttive.
Oltre a questi, hanno diritto alla detrazione anche i seguenti soggetti, purché partecipino nelle spese (intestatari di bonifici/fatture):
- familiari conviventi del possessore dell’immobile (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado);
- convivente, anche se fuori dal matrimonio o unione civile;
- coniuge separato, purché intestatario del bene immobile insieme all’altro coniuge.
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