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Relativamente al nuovo condono edilizio nel 2023, salvo domande ancora pendenti (Legge n. 47/1985, Legge n. 724/1994 e Legge 326/2003), con il Governo Meloni, le possibilità di ricorrere alla sanatoria edilizia, in caso di abuso, sono molto limitate. La normativa prevede infatti un attento controllo su alcuni aspetti relativi alla normativa vigente:
- al momento della realizzazione dell’intervento;
- al momento della presentazione della richiesta di sanatoria.
Intervento della Cassazione sul condono edilizio
L’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) prevede l’accertamento di conformità. Questa richiede la cosiddetta “doppia conformità” dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda.
La Corte di Cassazione lo ha sottolineato con l’ordinanza n. 46432 del 7 dicembre 2022. Con questa ha confermando l’operato del giudice dell’esecuzione che aveva respinto una richiesta di revoca dell’ordine di demolizione emesso con sentenza di condanna per abuso edilizio, sottolineando che la mancanza del requisito della doppia conformità non consentirebbe l’ottenimento di un provvedimento di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001.
Quando non si può ottenere un condono edilizio nel 2023, ricorrendo alla sanatoria giurisprudenziale
Il tribunale non può sanare un immobile costruito su un terreno che è diventato in seguito edificabile perché inserito in una zona residenziale del Piano Regolatore Generale del Comune. La motivazione presentata dal ricorrente contrastava con le leggi e le precedenti decisioni dei tribunali.
Quando non si può sanare un abuso edilizio?
Per essere sanato, un abuso edilizio deve soddisfare le condizioni specificamente indicate dalla legge: opere conformi alle norme edilizie sia al momento della loro costruzione sia in quello in cui viene presentata la domanda di permesso di sanatoria.
Per chi cerca una risposta su come sanare vecchi abusi edilizi, non è quindi possibile che questi effetti siano attribuiti alla cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che diventano conformi alle norme edilizie o agli strumenti di pianificazione urbanistica solo dopo essere state costruite.
Il tribunale ha per questo questo motivo, respinto e dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro a favore della cassa delle ammende.