Dopo bollette per molti inaffrontabili ed inflazione crescente, un nuovo tsunami sta per abbattersi sulle tasche 5degli italiani: l’aumento degli affitti. Sempre più locatari sembrano infatti propensi a interrompere il canone concordato, rinunciando alla cedolare secca. Lo scopo è recuperare sia quanto perso con l’inflazione che i crediti del superbonus incagliati per via delle banche che non li acquistano più. A riportare la notizia è un articolo de La Stampa.
Secondo un’analisi dell’agenzia immobiliare “Abitare Co.”, gli intestatari di un classico 4 + 4 stipulato a fine 2014 rischiano un aumento del 25,6%. Questo significa che l’affitto per un bilocale di 60 m quadri può arrivare a mille euro. Gli aumenti variano a seconda della città. Firenze è al primo posto, con il 35,3%, seguita da Torino con +20,6%. Incrementi più modesti a Roma (+19,9%) e Milano (+17,4%), dove i canoni sono già da tempo alle stelle. Fortunatamente arriva il bonus affitti in aiuto alle famiglie.
Ma non si tratta solo di caro affitti.
A causa del caro energia, anche le rate condominiali sono in crescita, con un aumento che, secondo Confartamministratori, si attesta intorno al +40-50% rispetto al 2022. Negli stabili con ascensore, guardiano e servizi aggiuntivi, si potrebbe addirittura arrivare al +100%. Inoltre, come afferma il presidente dell’associazione degli amministratori Alessandro Ferrari “anche noi non potremo fare a meno di adeguare i nostri compensi fermi da almeno cinque anni”.
Come accennato, alla base degli aumenti c’è l’intento dei locatari di abbandonare la tassazione agevolata della cedolare secca. Questa consentirebbe di applicare un canone di locazione calmierato del 15-30% se si sceglie l’agevolata del 10%, invece che l’ordinaria al 21% di Irpef.
Per quale motivo i locatari dovrebbero decidere di rinunciare alla cedolare secca e optare per l’aumento degli affitti?
A questo proposito l’articolo riporta la spiegazione del tributarista Gianluca Timpone. “Dopo 10 anni di consensi plebiscitari, che in base ai dati delle finanze hanno vista accrescere da mezzo milione a 2,6 milioni il numero dei locatari che hanno scelto la cedolare secca, ora c’è il concreto pericolo che alcuni facciano marcia indietro allo scadere del contratto di locazione. Questo sia per poter recuperare l’inflazione a doppia cifra, che per detrarre dall’Irpef i crediti del superbonus”.
La tassazione agevolata, infatti “tenendo basso l’Irpef può far diventare incapiente il contribuente locatario che non avrebbe sufficiente imposta per portare in detrazione tutto il credito del superbonus”. Timpone riporta inoltre un esempio: “mettiamo che il contribuente abbia un reddito di 37.500 € al quale si aggiungono 5760 € di canone sottoposto al 21% della cedolare secca. L’Irpef dovuta è di 7820 €. Se ha fatto una ristrutturazione da 35.000 € il suo credito annuale ammonterebbe a 9625 €. Revocando la cedolare secca, l’Irpef dovuta salirebbe a 9735 € con i quali sarebbe possibile recuperare tutto il superbonus”.
I dati allegati all’ultimo aggiornamento del Documento di Economia e Finanza riportano che il costo annuo della cedolare secca per l’erario è di 2,2 miliardi. Di questi, 1,85 restano nelle tasche del 10% dei proprietari più ricchi, che solo nel 30% dei casi affittano a canone calmierato. Tutto questo dimostra che per molti locatari procedere con l’aumento degli affitti è molto più di un’opzione.
Una situazione che, come spiega Massimo Pasquini, responsabile del Centro Studi dell’unione inquilini, sembra destinata a peggiorare. “Da noi arrivano sempre più rider, lavoratori precari e studenti fuori sede che non sanno come fare. E la situazione peggiorerà a giugno, quando con l’azzeramento del reddito di cittadinanza per 600.000 famiglie scadrà anche il sostegno dall’affitto, che al reddito è collegato e che arriva fino a 280 € mensili”. “Con 889.000 famiglie in affitto che vivono al di sotto della soglia di povertà, 150.000 sfratti in via di esecuzione quest’anno e altre 30-35.000 analoghe sentenze attese nel 2023, urge il recupero dei tanti edifici pubblici inutilizzati e delle 50.000 case popolari fuori uso per mancanza di manutenzione nell’ambito di una politica di rilancio dell’edilizia sociale”, conclude Pasquini.